I MIGRANDI DOVE LI METTIAMO? |
L’idea di scrivere queste queste brevi considerazioni mi è venuta dopo la lettura di un articolo a firma di Mons. Giacomo Martino, direttore dell’Ufficio Migrantes della Curia di Genova pubblicato su Il Cittadino del 1° ottobre 2017. Articolo sicuramente condivisibile in quanto, partendo da un messaggio di Papa Francesco sulla presenza, anche tra le comunità cattoliche, di una reazione di rigetto e di difesa nei confronti dei migranti, auspica una maggiore integrazione nel tessuto cittadino, per poi immediatamente passare sulla questione dell’asilo di Multedo dove dovrebbero essere alloggiati i circa 50 migranti della Fiera del Mare che attualmente sono ospitati presso il Seminario maggiore al Righi. Afferma Mons. Martino: “Esse (le reazioni di intolleranza e xenofobia n.d.r.) sono spesso motivate dalla diffidenza e dal timore verso l’altro, il diverso, lo straniero.”. Passa quindi ad illustrare le attività ed il percorso di integrazione che i migranti del Seminario stanno effettuando, iniziative senz’altro lodevoli che vanno nel senso della vera integrazione e cercano di evitare che questi giovani se abbandonati a sé stessi, nullafacenti dalla mattina alla sera, siano più facilmente portati all’accattonaggio e a delinquere. Altro che lo sfacelo in cui erano stati abbandonati alla Fiera del Mare, l’avete mai visto? Io si, casualmente sono passato lì davanti e sono rimasto impressionato, ma soprattutto non stavano facendo alcun percorso di integrazione. Il problema dell’immigrazione è a mio avviso un problema di numeri. Ogni società ha in sé la forza di assorbire i fenomeni sociali che, per svariate motivazioni, si discostano dalle caratteristiche culturali e sociali della medesima. La cosiddetta questione dello “scontro di civiltà” deve essere ricondotta ad una più obiettiva analisi delle difficoltà che cittadini ospiti e Paese ospitante inevitabilemente incontrano. Una presenza massiccia di persone appartenenti a culture diverse non può non creare frizioni con i residenti, tanto maggiori quanto sono maggiori le differenze culturali. Civiltà diverse, usi, costumi, religioni modi di concepire la famiglia, la fedeltà alla patria, i rapporti interpersonali, di lavoro di parentela, si cumulano si sommano uno con l’altro e creano un corto circuito o peggio vere e proprie rotture con la cittadinanza. È, inevitabile, così è sempre stato e così sempre sarà. È una questione di differenze culturali che non sempre possono andare a braccetto nemmeno qualora gli immigrati fossero tutti galantuomini e pie donne, cosa che purtroppo non è. Le difficoltà si sommano a quelle già presenti nelle nostre città e paesi. Così, ad esempio, in tutte le città sono sempre presenti fenomeni più o meno gravi quali i “barboni” gli ubriachi molesti, gli scippatori, i ladri, i drogati, gli stupratori... Queste amare realtà che non sono certo appannaggio esclusivo degli immigrati ma anzi sono presenti nel tessuto sociale italiano vanno combattute con mezzi appropriati, differenziati per ciascuna di esse, e possono essere metabolizzate dalla società finché non superano il livello di guardia, finché non raggiungono frequenza e numerosità che superano la forza intrinseca nella società di assorbirli. E quando i numeri superano ogni possibilità di correzione e repressione come sta succedendo ora? Non resta che l’espulsione delle mele marce, ma che sia effettiva con accompaganamento al confine di Stato e non con l’ipocrita consegna di un foglio di via. Si badi bene che per migranti non si devono intendere solo quelli clandestinamente sbarcati sulle coste del sud, ma anche quelli che regolarmente entrati nel territorio italiano sono perfettamente integrati, mi riferiso alle decine migliaia di equadoregni, peruviani, ucraini, albanesi, rumeni che lavorano nelle nostre fabbriche, nei cantieri edili e le cui mogli fanno le domestiche e le badanti nelle nostre case. Anche questi sono sempre avanti in qualsiasi graduatoria. E con il lavoro nero come la mettiamo? Lo sapete che quando un ispettore dell’INAIL o di qualche altro ente preposto si avvicina ad un cantiere edile chissà come mai trova sempre soltanto uno o due operai? Come va avanti il lavoro con quattro braccia che lavorano? E le tariffe orarie degli operai (finte partite IVA) che lavorano alle dipendenze delle imprese edili che sono 1⁄3 di quelle giuste che garantirebbero un tenore di vita appena dignitoso? Il lavoro nero si combatte sia pereguendo le imprese che lo sfruttano e quelli che approffittando dei pochi controlli mettono su imprese fittizie che non risultano al fisco, non applicano la normativa sulla sicurezza, non pagano i contributi sia tutelando i lavoratori sfruttati. Ricordate l’incendio di Prato vicino a Firenze in un fabbrica tessile dove sono morti svariati operai cinesi che lavoravano in un’impresa gestita da altri cinesi? E poi ci sichiede perchè i muratori italiani sono sul lastrico e non trovano appalti? Lo sapete che la legislazione fiscale è stata mutata proprio a causa delle false partite IVA degli extracomunitari che fatturavano ai loro committenti e poi non versavano l’IVA allo Stato? Ovviamente in quanto nullatenenti ogni azione di recupero era inutile. Chi non ne fosse a conoscenza sappia che è stato inventato un meccanismo detto del “reverse charge” che impone alle imprese di non pagare l’IVA ai propri lavoratori e di versarla direttamente allo Stato e che recentemente è stato allargato a tutte le imprese del settore edile. Non è, giusto dimenticare tute queste cose, perchè la gente al limite di ogni sopportazione, si sente maltrattata, bistrattata, umiliata e per giunta in balia della delinquenza spicciola che ti borseggia sull’autobus, che ruba negli appartamenti, che scippa le vecchiette mandandole all’ospedale. Lo sapete quante vecchie signore hanno rinunciato ad indossare i loro gioielli per non correre il rischio di essere strattonate? Queste cose bisogna dirle perchè alla lunga lasciano il segno e poi ci si sente anche dire che siamo razzisti! Tutte queste cose nell’articolo citato non vengono minimamente menzionate. Nè, si fa riferimento alcuno alle problematiche che una massiccia presenza di stranieri senza dimora e spesso senza famiglia inevitabilmente pongono alle comunità che li ospitano. Come visto sono innumerevoli e vanno ad innestarsi su un tessuto sociale già, fortemente minato dalla crisi economica, dalla crisi della famiglia, dalla mancanza di certezze morali ed etiche che, purtroppo, si fanno sempre più pressantemente sentire in molti strati della popolazione in via trasversale, non solo nelle zone poco o tanto degradate ma anche nei “quartieri ricchi”. Ritengo che non affrontare queste difficoltà, di ordine pratico che quotidianamente si incontrano sia negativamente recepito dalla popolazione che si trova alle prese con le mille difficoltà della vita e di questi tempi sono davvero tante! Avete mai provato ad iscrivere un bambino all’asilo nido comunale? Ad andare al pronto soccorso del Gaslini di sabato o di domenica? A fare domanda per una casa popolare? Attività inutile, gli extracomunitari saranno sempre i primi in ogni graduatoria. Capisco che le loro condizioni siano tragiche, spesso si tratta di donne sole i cui mariti sono in altre città a lavorare, con svariati figli, con lavori precari (magari anche in nero), ma gli italiani si sentono sempre più abbandonati e la rabbia sale. Non ci si deve meravigliare se poi si hanno rifiuti generalizzati come quello di Multedo. Non è sempre questione di scontro di culture, di “paura” verso lo straniero di rifiuto al diverso o di preconcetti, è spesso una lotta per accapparrarsi qualche aiutino indispensabile per andare avanti. Metterla solo ed esclusivamente in termini di “paura” è fuorviante, il Comune, la Regione lo Stato che aiuti danno ai 600 licenziati dell’ILVA e a tutti quelli che li hanno preceduti? Nulla di nulla e questo non è giusto. Altro punto che non condivido, ma qui mons. Martino non c’entra, è il seguente: perchè, la Curia non ha informato il Quartiere, il Comune, la Cittadinaza del progetto che aveva? Temeva la reazione probabilmente, ma così ne ha ottenuta una ancora maggiore. È inutile parlare di condivisione, fratellanza, accoglienza, fraternità e poi metter un quartire di fronte al fatto compiuto! Senza nulla togliere all’opera meritoria svolta dalla Chiesa spiace in chi, cattolico, si sente figlio di Santa Romana Chiesa, constatare la parzialità e la partigianeria di simili articoli che non affrontano nel modo dovuto, a 360 gradi, una problematica complessa che non può nè, deve essere sottaciuta ma che ecessita di ben altra obiettività. |